martedì 2 novembre 2010

IL PD PRECIPITA AL 24%, E' IL PANICO

Pd/Precipita al 24%, è il panico

Da "Il Mattinale" del PDL del 29 ottobre 2010
Il sondaggio dell’Ipsos reso noto durante la trasmissione Ballarò ha gettato nel panico il Partito democratico. Quel 24,2% di intenzioni di voto per il partito di Bersani&Altri è ben più di un campanello d’allarme. Sono dieci punti in meno rispetto a quelli che si raccolsero, poco più di due anni fa, intorno alla proposta di Walter Veltroni e dimostrano, soprattutto, che il Pd non sa essere il partito-guida dell’opposizione. Sanciscono, inoltre, quello che più infastidisce Bersani: non è il leader dell’opposizione. Che significa una cosa sola: le primarie non solo possono mettere in pericolo la sua vittoria ma, se anche vincesse, sarebbe un candidato-premier dimezzato, alla guida di un “popolo della sinistra” profondamente diviso.
La conferma viene dai buoni dati del sondaggio per i più diretti concorrenti alla leadership: Antonio di Pietro, con il suo partito, l’Idv, all’8,3% nelle intenzioni di voto, e Nichi Vendola, il cui partito, il Sel, è accreditato del 6,1%. Se si aggiungono il 2,3% di Sinistra europea (Rifondazione + Comunisti italiani) e il 3,7% del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, si ottiene un 20,4% che rappresenta una massa quasi equivalente a quella del Pd e quindi ne contesta la legittimità ad esercitare la leadership.
Sommando poi i due schieramenti, si arriva appena al 44,6% che è ben lontano dal rappresentare la maggioranza degli orientamenti politici degli italiani, che in misura largamente al di sopra del 50% premiano le formazioni di centrodestra, nonostante tutte le difficoltà oggettive della situazione economica e le polemiche.
La fuga in avanti di Bersani, il quale ribadisce che il suo obiettivo è la caduta del governo Berlusconi, non convince di fronte a questi dati, i quali dimostrano invece che, se questo è l’obiettivo, chi lo condivide non crede che il segretario e il suo Pd siano in grado di conseguirlo.
La riprova viene dalle dichiarazioni che sono state provocate dal sondaggio. Per Dario Franceschini, il trend in discesa dura da due anni. Da qui un generico invito “all’unità e a lavorare duro”. Ma questo è il punto: per andare dove? Lo chiede Marco Follini che, almeno, fornisce un’analisi: “Il calo dei sondaggi è legato alla deriva a sinistra… La spinta a sinistra non fa bene al Pd”. Sostanzialmente d’accordo è Beppe Fioroni: “Il Pd non può avere l’ossessione della sinistra… Vuol dire che la proposta va modificata”. Quanto a Walter Veltroni, si dice “preoccupato”, ma non va oltre alla convocazione di una riunione con i promotori del “Movimento dei 75”, lo stesso Fioroni e Gentiloni. Vedremo che cosa uscirà da questa meditazione, che non soddisfa il “rottamatore” Matteo Renzi, insofferente nei confronti di Bersani e di un Pd che gli sembra ancora immobilizzato dall’eterno scontro tra Veltroni e D’Alema.
In realtà il calo di consensi per il Partito democratico viene da lontano: dalla incapacità degli eredi del Pci di uscire dalla logica del muro contro muro. Essi hanno sostituito il Muro di Berlino, dietro il quale erano cresciuti, con un nuovo “muro” che viene identificato con Silvio Berlusconi. Ciò li ha portati a rifiutare un dialogo costruttivo, sia quando erano all’opposizione, sia quando erano nella maggioranza: un dialogo che accettasse la necessità delle riforme utili e indispensabili per il Paese, dalla riforma generale della Costituzione alle riforme specifiche, in primo luogo quella della giustizia e, a seguire, quella della scuola e delle relazioni industriali. Nonostante Bersani dica di volere affrontare i problemi, anzitutto economici, del Paese, gli elettori percepiscono che la sua battaglia è strumentale a una logica di potere vecchio stile, cioè stile-Pci, e per questa ragione fanno calare i loro consensi.

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